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giovedì 13 giugno 2013

Il Rondò della Forca e l'invenzione del pan carré




 


Qualche tempo fa abbiamo parlato di piazza Merano, la piazza che esiste solo sugli stradari. Questa settimana tocca invece al Rondò della Forca, toponimo per la prima volta sdoganato da google maps, che lo ha ufficialmente inserito nelle sue cartine elettroniche anche se questo luogo non ha mai avuto dignità di piazza o di slargo.

Per chi non lo sapesse, si tratta dell’incrocio tra corso Regina Margherita, corso Valdocco (con il suo proseguimento via Cigna) e corso Principe Eugenio: il nome deriva dal fatto che sino al 1863 vi si tenevano lì le pubbliche impiccagioni. Tanto che nel 1960, alla confluenza di corso Valdocco con corso Regina Margherita, è stato inaugurato un monumento dedicato a San Giuseppe Cafasso, conosciuto come il “prete della forca” in virtù della sua assistenza spirituale ai carcerati e ai condannati a morte. Cafasso nel 1948 è stato pure dichiarato patrono delle carceri italiane.

Il rito dell’esecuzione aveva le sue precise ed immutabili regole: il condannato, con il laccio al collo e le mani legate, percorreva le vie della città sino al rondò su un carro mentre la campana municipale mandava i suoi rintocchi, poi il sindaco della Arciconfraternita della Misericordia gli bendava gli occhi.
Nella notte tra il 2 e il 3 maggio del 1945 al Rondò della forca ci fu un'ultima esecuzione (ma senza cappio) postuma: la sedicenne Marilena Grill, colpevole secondo alcuni di essere una spia, in realtà una semplice ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana, venne fucilata dai partigiani.

Ci spostiamo ora di poche centinaia di metri: al numero 2 di via Bonelli abitava Piero Pantoni, l’ultimo boia di Torino, 150 esecuzioni sul groppone e una moglie che per la vergogna non usciva mai di casa. La vicina chiesa di Sant’Agostino era detta la “chiesa del boia”, in quanto nei suoi pressi vi venivano sepolti i condannati a morte e i detenuti defunti in carcere: qui il boia cittadino si era guadagnato il diritto ad avere un banco tutto per sé e ad essere sepolto sotto il campanile. Chissà perché, ma sembra che l’unico amico del Pantoni fosse un certo Caranca, il becchino di Rivarolo…
In epoca napoleonica in piazza Carlina funzionava invece la ghigliottina, mentre i roghi e gli squartamenti avvenivano nelle piazze San Carlo e Castello.

Cambia la zona, ma non la considerazione popolare per il mestiere di boia. In alcuni negozi, per ricevere i suoi soldi, gli veniva passata una scodella che serviva a lavare il denaro proveniente dal suo ruolo istituzionalizzato di assassino. E alle mogli dei boia i panettieri porgevano il pane al contrario: allorché un’ordinanza lo vietò perchè atto foriero di sventure, i più intraprendenti di loro si misero a cuocerlo a forma di mattone, in modo che fosse sempre girato a testa in giù. Da qui, secondo la leggenda, la nascita del pan carrè, quello utilizzato per i toast.
“Meglio avere la moglie del boia come cliente, che essere clienti del boia”, dicevano allora i più timorati. Di Dio e degli uomini. 

 

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