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venerdì 5 luglio 2013
venerdì 14 giugno 2013
Caffe storici di Torino un pezzo di storia.
Il Bicerin di Cavour
Il turista
che arriva a Torino rimane affascinato nello scoprire parecchi caffè e locali
storici di altra epoca. Infatti il caffè a Torino è soprattutto ottocentesco,
sopravvive e prospera a testimonianza della sua tradizione che evidenzia la
vocazione storica e culturale della capitale piemontese.
Questa caratteristica si può notare ancora oggi in alcuni suoi antichi locali quali: Del Cambio, Al Bicerin, Baratti, Fiorio, Platti, San Carlo, Torino, Mulassano e San Giorgio (al Valentino).
Tra le mura di questi famosi caffè tra il sorseggio di un liquore o di un the accompagnato da deliziosi pasticcini o di semplici caffè, i politici di un tempo discutevano delle sorti del regno Sabaudo, gli artisti prendevano appuntamenti e la ricca borghesia si soffermava a discutere d'affari. Ne citiamo brevemente alcuni per ordine di nascita. Visitare questi locali e come fare un salto indietro nel tempo poter vedere arredamenti e locali cosi come li vedevano le dame i i signori del sette ottocento
Questa caratteristica si può notare ancora oggi in alcuni suoi antichi locali quali: Del Cambio, Al Bicerin, Baratti, Fiorio, Platti, San Carlo, Torino, Mulassano e San Giorgio (al Valentino).
Tra le mura di questi famosi caffè tra il sorseggio di un liquore o di un the accompagnato da deliziosi pasticcini o di semplici caffè, i politici di un tempo discutevano delle sorti del regno Sabaudo, gli artisti prendevano appuntamenti e la ricca borghesia si soffermava a discutere d'affari. Ne citiamo brevemente alcuni per ordine di nascita. Visitare questi locali e come fare un salto indietro nel tempo poter vedere arredamenti e locali cosi come li vedevano le dame i i signori del sette ottocento
Caffè ristorante Del Cambio
Nasce nel
1757, è situato sulla piazza davanti al Palazzo Carignano, sede del primo
Parlamento Italiano. Il signorile locale ha una ambientazione molto raffinata
con grandi specchiere, decorazioni, stucchi e affreschi; ebbe illustri
frequentatori e principalmente il Conte Camillo Benso di Cavour del quale è
indicato con targhetta in bronzo il posto abitualmente da lui occupato e dal
quale poteva vedere il balcone del palazzo Carignano da dove si affacciava il
suo segretario per chiamarlo quando era necessaria la sua presenza in aula .
Ora il locale fa solo più servizio di ristorante.
Caffè confetteria Al Bicerin
Posto sulla
piazza del santuario della Consolata è nato nel 1763; il locale, di indubbio
valore storico ci è giunto esattamente come era allora. Qui è stato servito per
la prima volta il Bicerin (piccolo bicchiere). Tale tradizione non si è persa e
ancor oggi è possibile, qui e in molti locali torinesi anche non del centro
città, apprezzare questa bevanda. Tra i frequentatori del locale si può
ricordare Giacomo Puccini,Cavour ,che attendeva seduto a un tavolo l’uscita
della famigla reale dalle funzioni della Consolata fino ad arrivare a Mario Soldati, Macario e tanti altri
personaggi che hanno lasciato la loro impronta nel caffè storico.
Caffè gelateria Fiorio
Posto sotto
i portici della via Po è nato nel 1780, fu il più aristocratico in Torino meta
di nobili, diplomatici e intellettuali. Lo chiamavano il caffè dei codini e dei
Machiavelli. Era la fucina dell'opinione pubblica di Torino, tanto che si usava
dire: cosa si dice al Fiorio? Qui infatti presero vita i primi moti che
portarono al’ unita d’Italia
Caffè San Carlo
Situato
sotto i portici della magnifica piazza omonima, fu inaugurato nel 1822; è stato
il primo caffè d'Italia ad adottare (1832) la luce a gas. Fu salotto
intellettuale percorso da forti formenti di patriottismo, una delle roccaforti
del Risorgimento. Con i suoi preziosi marmi, statue e dorature è considerato il
più prestigioso salotto di Torino, fu molto danneggiato nel secondo conflitto
mondiale e restaurato completamente nel 1979
Caffe Plattì.
In Corso
Vittorio Emanuele, fu aperto nel 1870. Il caffè, vicino al prestigioso liceo
d'Azeglio, ebbe tra i suoi clienti affezionati anche il Senatore Giovanni
Agnelli, fondatore della F.I.A.T., Luigi Einaudi e Cesare Pavese. Probabilmente
fra queste sale germogliò la grande azienda automobilistica.
Caffè confetteria Baratti
Posto fra la
Galleria Subalpina e Piazza Castello, fu aperto nel 1875 da Ferdinando Baratti
e Edoardo Milano; il signorile locale si distinse subito per la sua classe
tanto da ottenere l'ambito titolo di Fornitore della Real Casa.
Caffè Torino
Posto sotto
i portici della Piazza San Carlo è stato inaugurato nel 1903; è il salotto
elegante in cui tutta la città bene del passato e di oggi si è soffermata e si
sofferma. È sempre stato sinonimo di eleganza e di servizio impeccabile.
Caffè Mulassano
Sotto i portici della Piazza Castello verso la via Po, fu aperto nel 1907. È un ambiente particolarmente prezioso e accogliente, ricco di marmi, decorazioni floreali in bronzo e con il soffitto a cassettoni. Era ritrovo abituale negli anni di Casa Reale dei notabili di Corte e degli artisti del vicino Teatro Regio.
giovedì 13 giugno 2013
Il Rondò della Forca e l'invenzione del pan carré
Qualche tempo fa
abbiamo parlato di piazza Merano, la piazza che esiste solo sugli stradari.
Questa settimana tocca invece al Rondò della Forca, toponimo per la prima volta
sdoganato da google maps, che lo ha ufficialmente inserito nelle sue cartine
elettroniche anche se questo luogo non ha mai avuto dignità di piazza o di
slargo.
Per chi non lo sapesse, si tratta dell’incrocio tra corso Regina Margherita, corso Valdocco (con il suo proseguimento via Cigna) e corso Principe Eugenio: il nome deriva dal fatto che sino al 1863 vi si tenevano lì le pubbliche impiccagioni. Tanto che nel 1960, alla confluenza di corso Valdocco con corso Regina Margherita, è stato inaugurato un monumento dedicato a San Giuseppe Cafasso, conosciuto come il “prete della forca” in virtù della sua assistenza spirituale ai carcerati e ai condannati a morte. Cafasso nel 1948 è stato pure dichiarato patrono delle carceri italiane.
Il rito dell’esecuzione aveva le sue precise ed immutabili regole: il condannato, con il laccio al collo e le mani legate, percorreva le vie della città sino al rondò su un carro mentre la campana municipale mandava i suoi rintocchi, poi il sindaco della Arciconfraternita della Misericordia gli bendava gli occhi.
Nella notte tra il 2 e il 3 maggio del 1945 al Rondò della forca ci fu un'ultima esecuzione (ma senza cappio) postuma: la sedicenne Marilena Grill, colpevole secondo alcuni di essere una spia, in realtà una semplice ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana, venne fucilata dai partigiani.
Ci spostiamo ora di poche centinaia di metri: al numero 2 di via Bonelli abitava Piero Pantoni, l’ultimo boia di Torino, 150 esecuzioni sul groppone e una moglie che per la vergogna non usciva mai di casa. La vicina chiesa di Sant’Agostino era detta la “chiesa del boia”, in quanto nei suoi pressi vi venivano sepolti i condannati a morte e i detenuti defunti in carcere: qui il boia cittadino si era guadagnato il diritto ad avere un banco tutto per sé e ad essere sepolto sotto il campanile. Chissà perché, ma sembra che l’unico amico del Pantoni fosse un certo Caranca, il becchino di Rivarolo…
In epoca napoleonica in piazza Carlina funzionava invece la ghigliottina, mentre i roghi e gli squartamenti avvenivano nelle piazze San Carlo e Castello.
Cambia la zona, ma non la considerazione popolare per il mestiere di boia. In alcuni negozi, per ricevere i suoi soldi, gli veniva passata una scodella che serviva a lavare il denaro proveniente dal suo ruolo istituzionalizzato di assassino. E alle mogli dei boia i panettieri porgevano il pane al contrario: allorché un’ordinanza lo vietò perchè atto foriero di sventure, i più intraprendenti di loro si misero a cuocerlo a forma di mattone, in modo che fosse sempre girato a testa in giù. Da qui, secondo la leggenda, la nascita del pan carrè, quello utilizzato per i toast.
“Meglio avere la moglie del boia come cliente, che essere clienti del boia”, dicevano allora i più timorati. Di Dio e degli uomini.
Per chi non lo sapesse, si tratta dell’incrocio tra corso Regina Margherita, corso Valdocco (con il suo proseguimento via Cigna) e corso Principe Eugenio: il nome deriva dal fatto che sino al 1863 vi si tenevano lì le pubbliche impiccagioni. Tanto che nel 1960, alla confluenza di corso Valdocco con corso Regina Margherita, è stato inaugurato un monumento dedicato a San Giuseppe Cafasso, conosciuto come il “prete della forca” in virtù della sua assistenza spirituale ai carcerati e ai condannati a morte. Cafasso nel 1948 è stato pure dichiarato patrono delle carceri italiane.
Il rito dell’esecuzione aveva le sue precise ed immutabili regole: il condannato, con il laccio al collo e le mani legate, percorreva le vie della città sino al rondò su un carro mentre la campana municipale mandava i suoi rintocchi, poi il sindaco della Arciconfraternita della Misericordia gli bendava gli occhi.
Nella notte tra il 2 e il 3 maggio del 1945 al Rondò della forca ci fu un'ultima esecuzione (ma senza cappio) postuma: la sedicenne Marilena Grill, colpevole secondo alcuni di essere una spia, in realtà una semplice ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana, venne fucilata dai partigiani.
Ci spostiamo ora di poche centinaia di metri: al numero 2 di via Bonelli abitava Piero Pantoni, l’ultimo boia di Torino, 150 esecuzioni sul groppone e una moglie che per la vergogna non usciva mai di casa. La vicina chiesa di Sant’Agostino era detta la “chiesa del boia”, in quanto nei suoi pressi vi venivano sepolti i condannati a morte e i detenuti defunti in carcere: qui il boia cittadino si era guadagnato il diritto ad avere un banco tutto per sé e ad essere sepolto sotto il campanile. Chissà perché, ma sembra che l’unico amico del Pantoni fosse un certo Caranca, il becchino di Rivarolo…
In epoca napoleonica in piazza Carlina funzionava invece la ghigliottina, mentre i roghi e gli squartamenti avvenivano nelle piazze San Carlo e Castello.
Cambia la zona, ma non la considerazione popolare per il mestiere di boia. In alcuni negozi, per ricevere i suoi soldi, gli veniva passata una scodella che serviva a lavare il denaro proveniente dal suo ruolo istituzionalizzato di assassino. E alle mogli dei boia i panettieri porgevano il pane al contrario: allorché un’ordinanza lo vietò perchè atto foriero di sventure, i più intraprendenti di loro si misero a cuocerlo a forma di mattone, in modo che fosse sempre girato a testa in giù. Da qui, secondo la leggenda, la nascita del pan carrè, quello utilizzato per i toast.
“Meglio avere la moglie del boia come cliente, che essere clienti del boia”, dicevano allora i più timorati. Di Dio e degli uomini.
mercoledì 12 giugno 2013
Quando e come è nata Torino?
Normalmente Torino è definita come città
“romana e barocca”. E’ evidente che l’epoca romana ha lasciato un segno indelebile
nella città, proprio a partire dalla sua toponomastica. Tuttavia,come spesso
accade, l’origine di Torino è precedente all’epoca romana.
Infatti, la nascita di Torino, sebbene
molti la facciano coincidere con la città romana di Augusta Taurinorum, è in realtà precedente e, come tutte le origini, si perde nella leggenda
e nella nebbia. Probabilmente, come argutamente nota Renzo Rossotti nella sua
“Storia insolità di Torino”, si tratta di “un corso d’acqua (per Torino
addirittura due!), qualche capanna, un villaggio: così per Roma, Parigi,
Londra, nate sulle rive di un fiume di primaria rilevanza”.
Una antica leggenda mitologica lega
Torino ed il Po al mito di Fetonte, figlio del dio Sole,
che dopo lunga insistenza ottiene dal padre il permesso di guidare il suo carro
fiammeggiante. Incapace tuttavia di guidarlo e soprattutto di domare i focosi
cavalli, Fetonte perde completamente il controllo e le briglie, rischiando così
di incendiare tutta la terra. Zeus è quindi costretto ad intervenire per
salvare la situazione, facendo precipitare Fetonte ed il suo carro nel fiume
Eridano, ossia il Po.
Al di là delle leggende mitologiche,
sicuramente le radici di Torino sono legati ai Taurini. Il popolo dei Taurini non ha ancora oggi una chiara ed univoca
identificazione. Indubbiamente sono un popolo legato tanto ai Celti quanto ai Liguri. Secondo alcune interpretazioni,
l’aggettivo taurinus potrebbe indicare un
gruppo di gente proveniente dalle alture, dalle montagne ed essere quindi un
sinonimo di montanus, cioè di “montanari”,
forse derivante dall’aramaico “taur” o dal celtico“thorche indica prprio un
luogo di montagana,Secondo alcuni il nome di questo primo villaggio (o gruppo
di capanne) sorto vicino alla confluenza di due grandi fiumi, in territorio
pianeggiante ai piedi delle Alpi, avrebbe assunto i nomi di Eridania (dal nome del fiume Eridano, cioè il Po) oppure di Fetonzia (dal mito di Fetonte) o, più probabilmente, di Taurasia. Tutti questi nomi sono riportati da antichi scrittori e da antiche fonti
più o meno attendibili.
Livio e Polibio definiscono la futura
Torino come la città più forte dei Taurini, il loro “capoluogo”.
Secondo lo storico Strabone (circa 60 a.C.) e anche secondo Plinio, i Taurini
sarebbero indiscutibilmente legati al ceppo dei Liguri che, spingendosi verso
nord nell’entroterra sono approdati in questo luogo pianeggiante dove hanno
realizzato un villaggio. La commistione tra Celti e Liguri è documentata,
secondo alcuni storici, dalla presenza in molti nomi di luoghi piemontesi,
tanto dai suffissi -asco (tipici liguri) quanto dal suffisso -aco (tipico invece delle zone celtiche).
In sintesi, si potrebbe quindi pensare che Torino sia
nata dal popolo dei Taurini, formatosi dalla commistione di popolazioni liguri
con gruppi e mescolanze di celti discesi dal nord. Già dalle sue origini,
quindi, Torino si presenta come crogiuolo entro cui si fondono e si amalgamano
culture e popoli differenti. E’ già allora un crocevia di civiltà…
Fonte F. venuti
sabato 8 giugno 2013
Nostradamus
a Torino?
Nostradamus, al secolo Michel de Nostredame o Miquèl
de Nostradama in occitano (Saint-Rémy-de- Provence, 14 o 21 dicembre 1503 Salon-de-Provence, 2 luglio1566), è stato un astrologo, scrittore, farmacista e speziale francese .Ma è stato il più
importante veggente di ogni tempo le sue centurie sono ancora oggi al centro di
numerosi studi per scoprirne i più nascosti segreti e molte generazioni di
studiosi si sono cimentati nella traduzione di queste opere. Nostradamus con
buona probabilità ebbe anche una parentesi Torinese con un soggiorno che sarebbe avvenuto nel 1556.
Ma Nostradamus venne davvero a Torino, perché ci sono alcune testimonianze
scritte che parrebbero avvalorare questa visita vediamole.
Un valido punto di partenza è senza dubbio
costituito dall’articolo di Corrado Pagliani, comparso nel n. 1 della rivista
“Torino” del 1934. In questo articolo l’autore ricostruisce il possibile
(probabile?) soggiorno torinese di Nostradamus, partendo da una lapide
originariamente collocata su un androne di una cascina situata all’epoca (siamo
a metà del Cinquecento) alla periferia di Torino. Tale cascina, nota come
cascina Morozzo, resisterà sino agli anni Sessanta del
Novecento, per essere poi abbattuta per
far posto a palazzi della nuova periferia torinese dove i nuovi cittadini
venuti dal sud a lavorare alla Fiat o in altre aziende sviluppatesi con il bum
economico,venivano ad abitare dove secoli prima si era fatta la storia.
L’articolo in questione è un valido punto
di riferimento, tanto da essere ripreso e riproposto numerose volte tra l’altro
da Spagarino Viglongo, da Tirsi Caffaratto, da Bellagarda, oltre a esser citato anche da altri
autori, dal tono più esoterico, come Giuditta Dembech.Di cui sotto è riportata la fotografia della lapide
Nel suo articolo il Pagliani riporta la
riproduzione di un dagherrotipo ottocentesco che si presumeva fosse l’esatta
fotografia dell’originale, (cosa che si rivelerà in seguito errata), comparso
sulla rivista Le Courrier de Turin del 26 dicembre 1807 (questo particolare risulterà,
come vedremo, molto importante), con tanto di testo che sarebbe stato dettato
dallo stesso Nostradamus) e che recita così:
1556
NOTRE DAMUS A LOGE ICI
ON IL HA LE PARADIS LENFER
LE PURGATOIRE IE MA PELLE
LA VICTORIE QUI MHONORE
AVRALA GLORIE QUI ME
MEPRISE OVRA LA
RUINE HNTIERE
a cui traduzione dovrebbe corrispondere a:
1556
NSTRADAMU ALLOGGIA QUI
DOVE IL PARADISO L’INFERNO
IL PURGATORIO IO MI CHIAMO
LA VITTORIA CHI MI ONORA
AVRA LA GLORIA CHI MI
DISPREZZA AVRA LA
COMPLETA ROVINA
In realtà la prima testimonianza scritta
circa il soggiorno torinese di Nostradamus risale addirittura al 1786,
pubblicata nel Noveau Dictionnaire Historique (citazione da O. Mattirolo7, 1928).
La seconda testimonianza in ordine di
tempo e relativa alla lapide risale al già citato articolo del Courrier del 18078 in cui un certo H. Carena riporta anche
le misure della stessa: 20 pollici (51 centimetri) di larghezza per 15 pollici
(38 centimetri) di altezza.
Una terza citazione si può ritrovare in un
articolo pubblicato sul quotidiano “La Stampa” del 3 giugno 1932 in cui tale C. O., in occasione degli
imminenti lavori di ristrutturazione dell’intera area su cui sorgeva la cascina
Morozzo, si sofferma sulla leggendaria figura di Nostradamus e sul suo
soggiorno torinese. Ma ritorniamo all’- articolo del Pagliani del 1934; in esso
l’autore riporta la notizia che il Carena o Carrera dopo il 1807 inviò a Le Courrier de Turin (27 gennaio 1808) una seconda lettera in
cui riporta il parere di un lettore, che in seguito alla lettura della prima
lettera uscita sullo stesso giornale nel dicembre 1807, precisa quanto segue: «Quantunque la storia di
Provenza non menzioni il soggiorno a Torino del famoso medico, abbiamo
nondimeno parecchi aneddoti che ci provano ch’egli vi si è trattenuto per
qualche tempo, che fu ben accolto alla Corte dei Savoia e che passò qualche
giorno alla casa di campagna oggi Morozzo, appartenente in altri tempi alla
principessa Vittoria di Savoia. Son d’avviso che il nome della detta campagna
(Vittoria), la posizione e la distribuzione delle terre sotto la denominazione
(di regioni) del Paradiso, Purgatorio ed Inferno, han dato occasione a
Nostradamus di comporre l’iscrizione ».
Il Pagliani precisa anche che una sua
personale ricerca presso gli archivi del Comune circa l’esistenza di una
Principessa Vittoria di Savoia risulterà vana, non trovando traccia di
principesse con tale nome, contemporanee o anteriori alla data dell’iscrizione.
Comunque sia andata, l’autore precisa
inoltre che le dimensioni della lapide (50 x 35 cm), rilevate da lui stesso nel
1934, risultano di poco inferiori a quelle riportate dal Carena nell’articolo
su Le
Courrier de Turin
del 1807 e che pertanto era possibile pensare che nel frattempo la lapide fosse
stata rimossa, riquadrata e collocata in un luogo diverso dal primitivo.
Per quanto riguarda invece il testo,
occorre fare un’altra interessante precisazione: il Pagliani si limita a
riprodurre quanto riportato sul Courrier, senza accorgersi che in realtà alla
terza riga non stava scritto “ON IL HA LE PARADIS” bensì “ON IL I I A LE
PARADIS”; non solo, ma quando avrà in mano la lapide originale da misurare non
si accorgerà neppure che l’H di “MHONORE” della quinta riga in realtà era
sovrastata da un accento circonflesso (MHONORE). Queste due piccole differenze,
apparentemente senza molta importanza, in realtà ne hanno moltissima in quanto
uno dei più noti interpreti di Nostradamus, ritenendo che il testo della lapide
(quello con “IL HA” e senza accento circonflesso) nascondesse un messaggio
criptato da decifrare, con relativa “chiave” per interpretare le famose
quartine, riportando su carta millimetrata il testo stesso e calcolando
opportunamente il numero delle lettere, le cadenze e le spaziature ha identificato
(a suo dire) tale chiave. Peccato che il tutto fosse basato su di un testo,
quello appunto riportato dal Pagliani, che poi si rivelerà errato.Lascio alla
fantasia del lettore immaginare l’attendibilità delle conseguenti
interpretazioni
E se la fantasia non fosse sufficiente
riporto testualmente quanto scritto nel libro della Dembech6: «ci sono invece delle diversità fra la
fotografia ottocentesca e l’autentica lapide di marmo, differenze tali da stravolgere
completamente sia il senso della “chiave” che di conseguenza, le
interpretazioni fin qui ricavate...».
Ma ritorniamo ancora una volta al
Pagliani; suo indubbio merito resta quello di aver fotografato la cascina
Morozzo, prima della sua demolizione, da due diverse prospettive (dal lato di
via Lessona e dal lato del parco della Pellerina), e la sua risulta, assieme a
quella prodotta dal Bellagarda nel 1968, la sola documentazione fotografica
esistente a ricordo del possibile passaggio torinese del celebre medico
occultista. Della famosa lapide non si saprà più niente per una trentina d’anni
(da molti fu data per dispersa, da altri se ne metteva in dubbio addirittura
l’esistenza) finché, nel 1967, il Bellagarda non riuscì a rintracciarla nella
casa dell’ultimo proprietario della Cascina, l’avvocato Momigliano, in via Don
Minzoni. La lapide fu infine “riscoperta” e fotografata nel 1975, grazie alle
ricerche di Renucio Boscolo, autodefinitosi l’interprete ufficiale di
Nostradamus, e pubblicata da Giuditta Dembech nel suo libro del 1978. In conclusione, di citazioni relative al
soggiorno torinese di Nostradamus ce ne sono molte ma gira e rigira si tratta
sempre degli stessi episodi che, in definitiva, fanno capo ad un solo elemento
concreto ovvero l’esistenza della pluricitata lapide.
Vi sarebbero inoltre tre accenni
indiretti, ma tutti e tre molto dubbi. Il primo è quello contenuto nel Nouveau Dictionnaire
Historique citato dal Mattirolo,
che però parla di una venuta a Torino di Nostradamus per controllare la
gravidanza di Margherita di Valois, consorte di Emanuele Filiberto, nel 1562
quando in realtà Emanuele Filiberto consultò effettivamente Nostradamus per la
nascita del figlio, ma nel dicembre del 1561 e a Nizza, non a Torino (come risulta
dalla monumentale opera del Guichenon 1660). Un secondo accenno è quello che compare
sul già citato Courrier de Turin del 1808 ad opera del Carena, ma anche in questo caso
si tratta di un parere di un lettore (oltretutto anonimo) e nulla più; l’ultimo
è quello riportato dalla Dembech la quale sostiene che il motivo della visita a
Torino di Nostradamus nel 1556 era legato alle pratiche alchemiche del tempo
(l’alchimia era effettivamente uno dei suoi grandi interessi), anche se il
motivo ufficiale era una visita alla moglie di Emanuele Filiberto, la duchessa
Margherita... ora mi domando come poteva essere questo il motivo ufficiale
visto che Margherita di Francia sposerà Emanuele Filiberto soltanto tre anni
dopo, il 10 luglio 1559!
Dunque Nostradamus visitò davvero Torino? Dettò davvero l’iscrizione
sulla famosa lapide? Con buona probabilità non lo sapremo mai! Ecco un nuovo
mistero che si aggiunge a quelli già per altro numerosi di questa Fantastica città
giovedì 6 giugno 2013
I fantasmi della Rotta
Torino è
anche la città dei fantasmi,infatti molti dei suoi palazzi hanno ospiti di un'altra
dimensione entità di un passato lontano molte volte vittime di violenze e di
efferati fatti di sangue. Tra i più famosi potremmo ricordare la donna velata di
san Pietro in vincoli, i fantasmi del carcere delle nuove,quello di palazzo
Barolo. Ma nei pressi di Torino si trova un luogo che secondo i cultori dello
spiritismo è il castello più infestato d’Italia, posto di cui esistono
fotografie molto interessanti e esplicite, un luogo dove chi scrive è stato e
da dove e fuggito per il senso di malessere e di angoscia che esso emana. Sto
parlando del CASTELLO DELLA ROTTA situato a Moncalieri a ridosso dell’autostrada Torino Savona
Il castello, costruito nel IV secolo, fu possedimento prima dei Longobardi e poi dei Cavalieri di Malta che lo ebbero per tre secoli fino al 1500 quando la proprietà passò alla famiglia dei Savoia. Fu in seguito trasformato in deposito di polvere da sparo nel 1706, durante l’assedio che fu anche teatro del gesto di Pietro Micca . Tra queste mura venne imprigionato dallo stesso figlio, Vittorio Amedeo II di Savoia, Re di Sardegna, che impazzì e morì completamente folle. Il castello aveva il fondamentale compito di difendere il ponte sul fiume BANNA, il ponte infatti era l’unico passaggio della strada romana che arriva da Pollenzo. Nei primi anni cinquanta cadde in uno stato di rovina ma per fortuna fu acquistato negli anni ’70 da Augusto Oliviero che ne è l’odierno proprietario , Oliviero lo restaurò e lo allontanò definitivamente dal degrado che lo stava distruggendo, quando era in completo stato di abbandono, chiunque vi aveva accesso e anche una semplice visita con tutte le buone intenzioni poteva diventare pericolosa. Il castello fu scenografia di molte battaglie, una delle quali gli avrebbe persino attribuito il nome, "Rotta" che per l’appunto vuol dire “sconfitta”. Una leggenda vuole che questa disfatta sia stata quella subita da Tommaso di Savoia dai francesi nel 1639. Questo castello che già porterebbe un infausto nome di sventura mostra agli occhi del visitatore anche un aspetto macabro e oscuro. Un aspetto che, anche di giorno, mette a disagio e se non si è predisposti a questo tipo di luoghi costringe ad allontanarsi il più velocemente possibile.
Il nome potrebbe provenire anche da altri significati, tra cui ROTHA ovvero roggia, che significa anche "luogo aperto", dopotutto si trovava proprio su un'ampia e vasta pianura.
Il castello, costruito nel IV secolo, fu possedimento prima dei Longobardi e poi dei Cavalieri di Malta che lo ebbero per tre secoli fino al 1500 quando la proprietà passò alla famiglia dei Savoia. Fu in seguito trasformato in deposito di polvere da sparo nel 1706, durante l’assedio che fu anche teatro del gesto di Pietro Micca . Tra queste mura venne imprigionato dallo stesso figlio, Vittorio Amedeo II di Savoia, Re di Sardegna, che impazzì e morì completamente folle. Il castello aveva il fondamentale compito di difendere il ponte sul fiume BANNA, il ponte infatti era l’unico passaggio della strada romana che arriva da Pollenzo. Nei primi anni cinquanta cadde in uno stato di rovina ma per fortuna fu acquistato negli anni ’70 da Augusto Oliviero che ne è l’odierno proprietario , Oliviero lo restaurò e lo allontanò definitivamente dal degrado che lo stava distruggendo, quando era in completo stato di abbandono, chiunque vi aveva accesso e anche una semplice visita con tutte le buone intenzioni poteva diventare pericolosa. Il castello fu scenografia di molte battaglie, una delle quali gli avrebbe persino attribuito il nome, "Rotta" che per l’appunto vuol dire “sconfitta”. Una leggenda vuole che questa disfatta sia stata quella subita da Tommaso di Savoia dai francesi nel 1639. Questo castello che già porterebbe un infausto nome di sventura mostra agli occhi del visitatore anche un aspetto macabro e oscuro. Un aspetto che, anche di giorno, mette a disagio e se non si è predisposti a questo tipo di luoghi costringe ad allontanarsi il più velocemente possibile.
Il nome potrebbe provenire anche da altri significati, tra cui ROTHA ovvero roggia, che significa anche "luogo aperto", dopotutto si trovava proprio su un'ampia e vasta pianura.
La sua struttura
possente è prettamente finalizzata alla
difesa, con torre di vedetta, ponte levatoio e grande cortile interno. Possiede
molte sale e una cappella,come molte costruzione della sua epoca. Ma il castello
della Rotta è divenuto famoso soprattutto per una grande quantità di foto di presunti
spettri che hanno fatto capolino dalle sue finestre e che hanno impressionato
anche i più scettici.
Un castello
appartenuto ai Cavalieri di Malta
Nel 1196 il castello fu donato dal Vescovo Arduino di Valperga, insieme ad altre proprietà, ad Alberto, Maestro della milizia del Tempio, divenendo possedimento dei Cavalieri di Malta. Poco distante vi è il paesino della Gorra,molto probabilmente magione Templare. E’ facile trovare documentazione che comprova questa cessione, inoltre sui pilastri d’entrata vi sono scolpite croci patenti a firma dell’appartenenza del luogo all’Ordine. Anche l’interno riporta immagini e scritte correlate alle crociate.
Le leggende
del fantasma del cavaliere e del suo cavallo Nel 1196 il castello fu donato dal Vescovo Arduino di Valperga, insieme ad altre proprietà, ad Alberto, Maestro della milizia del Tempio, divenendo possedimento dei Cavalieri di Malta. Poco distante vi è il paesino della Gorra,molto probabilmente magione Templare. E’ facile trovare documentazione che comprova questa cessione, inoltre sui pilastri d’entrata vi sono scolpite croci patenti a firma dell’appartenenza del luogo all’Ordine. Anche l’interno riporta immagini e scritte correlate alle crociate.
Qui si svolsero moltissimi fatti d'arme con conseguenti morti violente; non solo il campo è intriso del sangue dei soldati, ma in esso furono sepolti molti uomini, fatto recentemente comprovato dagli scavi che hanno riportato alla luce diversi cadaveri, tra i quali spiccò la figura di un cavaliere ancora con il suo cavallo e con una croce di ferro al collo, i resti sono stati datati tra il XV e il XVI secolo. Quando questo soldato fu riesumato colpì molti perchè da sempre nelle cascine vicine si narrava di un fantasma di un cavaliere a cavallo vagante per il maniero, con la stessa croce di ferro al collo, questa circostanza, non solo è dichiarata da testimonianze oculari di residenti della zona, ma anche da documenti del passato, che hanno sempre attribuito alla Rocca la fama di castello più infestato d’Italia.
Si narra che
in passato qui vi giunse una marchesina francese che doveva sposare il padrone
del maniero. Lei però innamorata e corrisposta da un cavaliere crociato lo
rifiutò, probabilmente anche perché il nobile era vecchio e zoppo, mentre il
suo fidanzato era bello e coraggioso. Ma il promesso sposo, senza tanti complimenti, gettò la poveretta dalla torre! Il cavaliere
appena apprese la terribile notizia si votò a Dio e partì per la crociata per
combattere gli arabi infedeli. Si dice che che il cavaliere col cavallo sia
proprio questo triste uomo che desiderò farsi seppellire qui accanto alla sua
amata. Esiste una leggenda parallela che ha il nome di “Leggenda del
frate della Rotta”. In questo caso era però il signore del castello ad essere
bello e coraggioso che si innamorò di una bellissima e giovane nobildonna.
Venne organizzato il fidanzamento a corte con sfarzo e balli. Ma la
distrazione del gozzoviglio facilitò un assedio a sorpresa da parte dei
saraceni, alcuni dei quali inseguirono la povera donna fino in cima alla torre dalla
quale ella si gettò per non cadere nelle mani del nemico. Il cavaliere si battè con
valore sconfiggendo tutti i saraceni, ma appena vide la sua amata distesa senza
vita sul ponte levatoio, abbandonò la sua roccaforte e partì in Terra Santa
facendosi monaco guerriero templare per vendicarsi di tutti gli infedeli che
avevano portato questo profondo dolore nella sua vita.
Queste
leggende sono simili, un poco diverse, ma si accomunano per i particolari più
importanti, come la caduta dalla torre di una fanciulla triste e disperata e un
cavaliere templare che combatte gli infedeli. Il male dapprima trionfa
sottraendo ciò che di più prezioso possediamo, ma l'uomo, stimolato da questo
profondo dolore trova la forza per combatterlo e sconfiggerlo. Il cavaliere
viene poi seppellito con tutto ciò che ha, una croce e il suo fedele destriero.
Inseguirà l'amore per l'eternità e troverà pace solo dopo aver consumato la
propria vendetta.Del cavaliere si sentirebbe risuonare il rumore degli zoccoli
nelle stanze interne, è a cavallo, ha una spada in mano e una croce di ferro
sul petto. Gli altri fantasmi del castello e il corteo di spettri del 12 giugno
Egli non sarebbe stato "avvistato" da solo, sempre secondo diverse testimonianze, sarebbe affiancato da altri spettri di frati, suore, nobili, soldati e cavalieri, tutti personaggi morti in situazioni tragiche e sventurate. Tutti questi fantasmi, nelle notti di giugno, formerebbero una processione in queste zone. Ognuno ha una storia terribile… Vi è il sacerdote murato vivo nel 1400 per terribili crimini commessi, come vi è il ragazzino travolto da dei cavalli imbizzarriti, oltre al giustiziato tramite decapitazione, che vagherebbe ancora nel cortile interno con la testa sottobraccio. Insieme allo spettro del bambino vagherebbe anche la nutrice disperata che ancora piange e sospira per esserle sfuggito di mano. La donna suicida lascerebbe dietro di sé profumi di rose e gigli. Vi sono visioni di battaglie e di interi eserciti ancora in marcia. La processione di spettri avverrebbe nella notte tra il 12 e il 13 Giugno ed innumerevoli sono ancora gli appassionati di esoterismo che qui si recano proprio in queste date. Curiosi, medium, indagatori del mistero da anni si appostano nelle notti di primavera a caccia di fantasmi. E ogni minimo fumo, luce, movimento viene immortalato e portato a casa come un trofeo.Peccato che sia residenza privata e il proprietario, Augusto Oliviero, un po' stufo di questo continuo movimento di "vivi" più che di "morti", avrebbe deciso di intensificare il proprio diritto alla privacy rendendo il maniero sempre più inaccessibile. Non che lo stesso Oliviero non si sia appassionato dei fenomeni paranormali che gli caratterizzano il castello, ma se si parla di questo delicato argomento, bisogna sempre porre molta attenzione e magari a far fede a vecchie serie documentazioni, tra cui alcune effettuate da un gruppo di ricercatori milanesi che hanno recuperato diverso materiale interessante, frutto di testimonianze corredato anche da diverse fotografie. Ma a noi interessa il lato storico e ci affascina ripercorrere gli eventi, morti violente e intrighi che hanno dato un’identità oscura al castello, vicende coronate da spettri e apparizioni di questi personaggi sventurati che vediamo, anche solo con l'immaginazione, ancora vaganti tra le mura della rocca.
mercoledì 5 giugno 2013
La casa stregata,Villa Capriglio
Torino si sa che è la città magica per
eccellenza, con quelle sue due facce del bene e del male rappresentate dai
luoghi occulti della Magia Nera e della Magia Bianca, dell’Alchimia e della
Cristianità.
Torino,proprio per la sua indole nasconde
dietro ad ogni angolo,ogni cortile, ogni palazzo, leggende e misteri, ma il mistero
di cui voglio parlarvi è quello di una
strana villa circondata da rovi e sterpaglie, riconoscibile per il colore giallo,
tipico delle abitazioni patrizie del
primo ottocento piemontese, e lo stato di abbandono che la fanno sembrare uscita
da film del terrore! (Dario Argento la visionò per i suoi film girati a Torino)
E’ li come a segnare il tempo, guardiana di un luogo che sa di magia ne
custodisce la storia e misteri!
La villa si trova dopo la galleria chiamata “Traforo del Pino”,
visibile sulla destra della strada che scende verso Torino e la sua
immagine lascia subito spazio alla fantasia.
Se fosse una donna si potrebbe definirla una nobildonna che porta su di sé i segni del tempo, simile ad un libro dalle pagine ingiallite, in cui è racchiusa la storia della nobiltà e del decadimento della monarchia. Ma cosa si può raccontare di una villa che ha visto tra le sue mura le avventure galanti di re e nobili dame, di sfarzi e danze o forse semplicemente di vita, gioie e dolori di quella nobiltà, della corte sabauda o di segreti incontri tra quei cospiratori che 150 anni fa fecero l’Italia proprio qui, a Torino!
Se fosse una donna si potrebbe definirla una nobildonna che porta su di sé i segni del tempo, simile ad un libro dalle pagine ingiallite, in cui è racchiusa la storia della nobiltà e del decadimento della monarchia. Ma cosa si può raccontare di una villa che ha visto tra le sue mura le avventure galanti di re e nobili dame, di sfarzi e danze o forse semplicemente di vita, gioie e dolori di quella nobiltà, della corte sabauda o di segreti incontri tra quei cospiratori che 150 anni fa fecero l’Italia proprio qui, a Torino!
Di lei si e scritto molto e di tutto! Dagli sfarzi della corte Sabauda
alle piccanti storie dei suoi abitanti, come la leggenda che vuole fosse la
dimora di una favorita del re.
C’è chi transitando di notte “tira dritto,
veloce” per timore di incontrare fantasmi terrificanti! Qualcuno dice di
sentire strani rumori, chi giura di sentire minuetti e risate provenire da
dietro le finestre illuminate… di una casa disabitata e in rovina: fantasia o
suggestione, poco importa e basta un lampo, il sibilo del vento tra le foglie,
un’ombra di ramo scheletrito a rinvigorire le leggende!
C’è chi dice che tutti quelli che vi hanno
abitato sono morti tragicamente e che nessuno riesca ad abitarci per lungo
tempo e “con i capelli sbiancati dal terrore” fugge da questa casa in tutta
fretta,alle volte lasciando mobili e suppellettili. E c’è chi per nessuna somma
di denaro metterebbe mai piede in quella casa nemmeno di giorno!
Forse è solo l’atmosfera e la suggestione”
a dare vita alle immagini, ma il mistero si infittisce ancor più quando
qualcuno sussurra “E’ la casa del Diavolo! Allo scoccare della mezzanotte di
ogni plenilunio per alcuni minuti svanisce nel nulla e non la si vede più!”...
e frettolosamente si fa il Segno della Croce, poi “allunga veloce il passo” e
si allontana rifiutandosi di accompagnarvi anche solo nel cortile di questa
casa misteriosa!
Villa Capriglio - sorge sulla statale del
traforo del Pino, che conduce al bivio per Superga sulla destra e inizia il
percorso periferico della città di Torino sulla sinistra.
Villa settecentesca dei Melina (1746) sulla cui origine aleggiano molti misteri: si dice che fosse la dimora di una favorita di Vittorio Amedeo II di Savoia. Dai Melina passò a molti altri proprietari, sino ai Cattaneo che nel 1963 la vendettero al Comune.
Villa settecentesca dei Melina (1746) sulla cui origine aleggiano molti misteri: si dice che fosse la dimora di una favorita di Vittorio Amedeo II di Savoia. Dai Melina passò a molti altri proprietari, sino ai Cattaneo che nel 1963 la vendettero al Comune.
Si tratta di una “vigna”, ossia una
residenza collinare utilizzata dai nobili e dai ricchi borghesi come luogo di
piacere. Le sue mura racchiudono molti misteri, ma il più affascinante è
indubbiamente quello che dice che in certe notti, allo scoccare della
mezzanotte per un attimo sparisca per poi ricomparire come d’incanto.
La villa costituisce uno dei più significativi esempi di barocco piemontese, dalle influenze Juvarriane. In origine l’ingresso era dalla strada di Mongreno. Oggi si presenta come un luogo ormai disabitato e in forte decadenza, ma lascia trasparire tutta la sua signorile bellezza architettonica esterna, visibile anche nelle decorazioni interne con bassorilievi in stucco, in voga nella prima metà del ‘700, se avrete l’ardire o la fortuna di varcare quella soglia di mistero... ma ricordate a vostro rischio e pericolo
La villa costituisce uno dei più significativi esempi di barocco piemontese, dalle influenze Juvarriane. In origine l’ingresso era dalla strada di Mongreno. Oggi si presenta come un luogo ormai disabitato e in forte decadenza, ma lascia trasparire tutta la sua signorile bellezza architettonica esterna, visibile anche nelle decorazioni interne con bassorilievi in stucco, in voga nella prima metà del ‘700, se avrete l’ardire o la fortuna di varcare quella soglia di mistero... ma ricordate a vostro rischio e pericolo
Collocata poco distante dal Traforo del
Pino e dalla città di Torino, sorge nel verde della collina con una superficie
interna di oltre 1.300 mq su due piani, e con un edificio rurale di 135 mq
all’interno del parco che si estende per circa 2.000 mq.
Ristrutturata da Alessio Melina, la villa è originaria del 1706, venne completata nel 1761, come residenza sulla collina di Superga. Come in uso a quell’epoca era un’abitazione posta in una proprietà agricola con annesso un rustico e circondata da terreni coltivati per lo più a vite, in seguito venne trasformata in elegante dimora per i nobili della corte sabauda.
Ristrutturata da Alessio Melina, la villa è originaria del 1706, venne completata nel 1761, come residenza sulla collina di Superga. Come in uso a quell’epoca era un’abitazione posta in una proprietà agricola con annesso un rustico e circondata da terreni coltivati per lo più a vite, in seguito venne trasformata in elegante dimora per i nobili della corte sabauda.
Alle origini era chiamata con il nome dei
proprietari “Vigna Marchisio”, in seguito venne acquistata da Giovanni Paolo
Melina di Capriglio prendendo il nome di Villa Capriglio.
La signorilità era visibile per lo scenografico anfiteatro con getti d’acqua che la separava dalla collina coltivata a vite e dal parco secolare, ma alla morte di Melina passò al demanio. Quando la proprietà passò al comune di Torino iniziò una grandiosa impresa di restauro, ma per qualche “oscuro motivo” la villa venne abbandonata e negli anni ’60 venne saccheggiata e devastata.
La signorilità era visibile per lo scenografico anfiteatro con getti d’acqua che la separava dalla collina coltivata a vite e dal parco secolare, ma alla morte di Melina passò al demanio. Quando la proprietà passò al comune di Torino iniziò una grandiosa impresa di restauro, ma per qualche “oscuro motivo” la villa venne abbandonata e negli anni ’60 venne saccheggiata e devastata.
Nel 1977 ebbe un breve spazio di splendore
grazie ad alcune riprese del film “Suspiria” di Dario Argento, ma l’oblio
avvolse ben presto questa villa misteriosa quanto affascinante.
Nel gennaio del 1999 l’associazione “I Leonardi” iniziò degli interventi di recupero architettonico e botanico e Villa Capriglio parve risorgere dopo tre decenni di saccheggi e quasi due di discarica abusiva.
Nel gennaio del 1999 l’associazione “I Leonardi” iniziò degli interventi di recupero architettonico e botanico e Villa Capriglio parve risorgere dopo tre decenni di saccheggi e quasi due di discarica abusiva.
Pietro Boffelli e un gruppo di giovani
artisti fonda l’Associazione Culturale “I Leonardi” e per un breve periodo
quelle mura tra cui aleggiano mille leggende ospiterà le opere di giovani
artisti, tra cui una performance di Diamond Dolls nella chiesa sconsacrata e
una di Demon Hunter nei sotterranei, e non è mancato l’Halloween Party
che ha trasformato la villa in un luogo allucinante! Ma com’è risorta dalle
ceneri, tornerà ben presto nell’oblio e forse non risorgerà più.
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