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mercoledì 29 maggio 2013

Torino e le linee sincroniche


Le cosiddette “linee sincroniche” sono formate da  fasci di energia che, percorrendo le cavità  sotterranee della Terra, esercitano un’influenza  determinante sulle regioni attraversate imprimendo  quella caratterizzazione “magica” che  contraddistingue alcune aree del pianeta. Questo  schema inusuale di interpretazione della realtà,  elaborato da Oberto Airaudi, permetterebbe  dunque di comprendere la ragione profonda per la  quale certi aggregati urbani, come Torino o Praga,  sono stati beneficiati dell’etichetta di “città  magiche” o certe zone del pianeta, come il  Piemonte, sembrino popolate più di altre da  racconti che sfumano nella leggenda e che  sconfinano nel terreno del mito. Il motivo sarebbe  dunque da ricercare nel passaggio, impercettibile  per i nostri sensi mortali, di questi flussi di energia  sotterranea che lambiscono il Piemonte,  effondendovi le proprie tensioni positive. Questi  fiumi “carsici” esercitano la loro influenza sia  attribuendo alle località che sorgono in  corrispondenza della linea sincronica la natura di  centri di irradiazione di energia magica sia  trasformando le terre che si estendono al di sopra  di questi giacimenti mobili d’energia in luoghi  capaci di attrarre l’insediamento di popolazioni  depositarie di conoscenze magiche appartenenti a  diverse tradizioni. Tratto caratteristico del  Piemonte, che legittimerebbe l’alone magico che  circonda la regione avvicinandone l’essenza intima  a quella di lande esotiche come il Tibet, discende  dal peculiare intreccio in quest’angolo di Occidente  di una rete di quattro linee sincroniche, due  orizzontali (identificate con il colore blu e  contrassegnate dalle lettere A e B) e due verticali  (colorate di rosso e catalogate con i numeri 5 e 6).  Queste linee si intersecano dando luogo alla  formazione di due “nodi” provvisti di particolare  energia: il primo deriva dall’incontro della linea  sesta verticale con le due orizzontali e si trova in  corrispondenza della città di Torino mentre il  secondo, localizzato nel Canavese e generato dalla  fusione della linea A orizzontale con la quinta e la  sesta verticale, è stato scelto da Airaudi come luogo  di fondazione della sua Damanhur. Inoltre,  quest’ondata di dinamismo magico che pervade le  linee sincroniche, raggiungendo l’apice in  prossimità dei nodi, non si limita a contagiare le  terre lambite dal fiume sotterraneo, trasformandole  in centri di irradiazione di energia magica, ma pone  nel contempo in stretta correlazione il Piemonte  con le altre regioni del pianeta attraversate dalle  stesse linee permettendo di gettare luce  sull’intreccio di rapporti tra popolazioni antiche  anche molto distanti tra loro. Quanto ai nodi, si è  dunque constatato come uno dei due principali  punti d’incontro tra le linee sincroniche piemontesi  sia rappresentato da quella striscia di terra un  tempo paludosa compresa tra il fiume Po e la Dora  Riparia. Proprio quest’angolo dell’odierna Torino  potrebbe aver ospitato i primi abitatori dell’antica  Taurasia, che la storia qualifica come Taurini (talora  confondendoli con i Taurisci) e le fonti accreditano  come appartenenti ad “antica stirpe ligure” (Plinio il  Vecchio) o come “Semigalli” (Tito Livio), suggerendo  la sovrapposizione del ceppo celtico sulla  preesistente matrice ligure. La documentazione  storica, che scarseggia, si mescola alla mitologia  greca ed egizia, sovente sfruttata per scopi  celebrativi della dinastia di Savoia da scrittori di  Corte quali Emanuele Thesauro, ora attribuendo la  fondazione di Torino al principe egizio Eridano, il  quale avrebbe portato con sé il culto tributato al  Dio Apis simboleggiato dal toro, ora intrecciandone  le origini con il mito olimpico di Fetonte, figlio del  dio Sole, il quale, guidando il carro solare e  provocando danni devastanti, sarebbe stato  scaraventato per punizione da Giove nel fiume.  Come narra Apollodoro, le sorelle, disperate,  sarebbero accorse sulle sponde del fiume  piangendo lacrime d’ambra e venendo poi  trasformate nei pioppi che accompagnano tuttora il  corso del Po. Soltanto più tardi, i Celto-liguri  chiamarono il fiume “Bodincus”, ed i Romani  “Padus” dal termine che designa una specie di pino  selvatico. Prendendo spunto da questi miti, Airaudi  immagina la Torino delle origini come una cittadella  sacra abitata esclusivamente da sacerdoti circondati  da adepti delle conoscenze magiche di matrice  egizia e celto-ligure, realizzando quella  mescolanza armonica tra tradizioni nordiche e  meridionali che caratterizza fortemente l’impronta  magica della città. Proprio questa preesistenza di  conoscenze magiche coltivate dalle popolazioni  stanziate in loco avrebbe esercitato un’influenza  determinante sulla fondazione della colonia romana  di Julia Augusta Taurinorum nel 25 a.C.. I Romani  attribuivano solitamente grande importanza al  rispetto dei “riti” tanto da assegnare loro anche la  capacità di presiedere e regolamentare l’atto di  fondazione di un nuovo insediamento. La  castramentatio della città romana era infatti fondata  sull’intersezione ad angolo retto dei due principali  assi stradali: il Decumanus Maximus, l’attuale Via  Garibaldi, che seguiva l’andamento Est-Ovest, ed il  Cardo, corrispondente alla Via Porta Palatina, che  invece era orientato lungo il canale Nord-Sud.  L’orientamento Est-Ovest del Decumanus, in  particolare, implicava che il tracciato riproducesse  graficamente il percorso compiuto dal Sole nel  corso della giornata con la nascita ad Est, fonte  della vita, ed il tramonto ad Ovest, che simboleggia  il declino. Nel caso di Torino, secondo le  annotazioni di Airaudi, si è scoperto che il  Decumanus devia rispetto al consueto assetto di  circa 30° riconducendo quest’anomalia non alla  casualità bensì all’influenza di quel complesso di  precedenti conoscenze magiche legate al territorio  delle quali i Romani non poterono non tenere conto  nella celebrazione dei riti di fondazione della  colonia subalpina.  Le linee sincroniche, come si è anticipato, rivestono  notevole importanza anche nella interpretazione dei  rapporti, spesso oscuri, tra le popolazioni che  colonizzarono il Piemonte ed altre regioni del  pianeta. Riportiamo due esempi. La linea sincronica  A orizzontale collega l’area subalpina al Mar Baltico  e questo fluire di energie sotterranee potrebbe aver  influenzato il moto di colonizzazione che portò  l’antica stirpe dei Liguri ad estendere il proprio  dominio sulle terre subalpine, fondendosi a partire  dal VI secolo a.C. con i Celti. L’antichità della stirpe  ligure è comprovata dall’accenno di Esiodo,  confermato da Strabone, che immagina il dominio  arcaico del mondo ripartito tra Sciti (allevatori di  cavalli), Etiopi e Liguri (identificati dai Greci antichi  come primi abitatori dell’Occidente). Plutarco, nella  Vita di Mario, descrive la battaglia di Aquae Sextiae  (102 a.C.), che contrappose l’esercito di Teutoni ed  Ambroni, accomunati dalla matrice etnica definita  ora germanica ora celtica, alle legioni romane  comandate da Mario. Egli si sofferma sul dettaglio  del grido di guerra lanciato dagli Ambroni che  cominciarono a far risuonare nel campo il nome con  il quale essi si riconoscevano. I Liguri, mescolati  all’esercito romano, riconobbero nel nome di  “Ambrones” la stessa radice con la quale  anticamente essi qualificavano la loro stirpe e  risposero ripetendo quel termine. Questo episodio  è stato adoperato dai cultori dell’interpretazione  magica della storia come tassello d’un complesso  mosaico che comproverebbe l’esistenza di rapporti  tra i Liguri stanziati in area piemontese e antiche  popolazioni nordiche o baltiche, tra cui gli stessi  Ambroni. Che i Liguri effettivamente vantassero  ancestrali legami di parentela con gli Ambroni o  consimili tribù, nel senso che fossero emigrati da  quelle terre nordiche per colonizzare il Piemonte,  non può essere accertato. Si scorge, tuttavia, una  evidente coincidenza tra la circostanza riportata da  Strabone e le indicazioni storiche che accreditano i  Liguri come mediatori nei traffici commerciali di  ambra, la preziosa resina fossile del Baltico, che  veniva trasportata dall’estremo Nord per essere  venduta a mercanti fenici e greci presso i porti della  Provenza. Ed è anche interessante constatare che  l’immagine degli antichi Liguri come commercianti  d’ambra si riflette nel mito greco delle lacrime  versate dalle sorelle di Fetonte e trasformate nella  preziosa resina solidificata.    
In Piemonte si riscontra anche un’elevata  concentrazione di oggetti “magici” custoditi in  luoghi segreti come, ad esempio, il Vello d’Oro.  Quest’oggetto, appartenente alla mitologia greca,  ricorda l’impresa degli Argonauti e di Giasone nella  lontana Colchide, regione che si estende alle  pendici del Caucaso digradando verso le coste del  Mar Nero ed essendo solcata dalla linea sincronica  B orizzontale che attraversa anche il Piemonte. La  figura mitizzata del Vello, in realtà, nascerebbe  dalla consuetudine, in uso presso alcune  popolazioni della regione, di adoperare pelli  d’agnello per raccogliere le pagliuzze d’oro  trascinate dalla forza dei fiumi che scendevano  verso il mare. Questi granelli, intrappolati nel  pelame, conferivano al vello quella veste dorata e  luccicante che lo rendeva così affascinante,  trasformandolo in oggetto mitico. Il Vello d’Oro,  oggetto di contesa tra Greci e Troiani che ambivano  a disporre delle sue proprietà magiche, è additato  come il reale motivo di conflittualità che portò allo  scoppio della guerra di Troia cantata dall’Iliade.  Come discernere la verità storica dal mito? Nella  bramosia di possesso del Vello d’Oro potrebbe  scorgersi il riverbero mitologico della causa  economica dello scontro militare, individuabile nel  controllo dei traffici commerciali tra il Mar Ionio ed  il Mar Nero. D’altronde, l’archeologo tedesco  Schliemann riuscì nell’impresa di ritrovare i resti  dell’antica Troia lasciandosi guidare unicamente  dalle indicazioni riportate nell’iliade……Tornando al  Vello come oggetto magico, dunque, gli stessi miti  che intravedono nel conflitto di Troia una contesa  per il suo possesso, narrano anche che alcuni  transfughi troiani, scampati all’incendio della loro  città, abbiano peregrinato per mari e per monti  approdando alfine in Piemonte e fondando alcune  città. In una di queste località piemontesi si  troverebbe dunque custodito il Vello d’Oro e,  d’altronde, Troia si trova in prossimità della linea  sesta verticale che solca anche il Piemonte. Verità o  leggenda? E’ difficile discernere il discrimine tra le  due dimensioni, soprattutto per quei periodi della  Storia scarsamente illuminati da prove documentali  o archeologiche. I confini tra i due mondi, talora, si  spostano ma è bene lasciare alla leggenda il suo  incontrastato dominio.

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